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Hogarth: Biografia

 


 

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Hogarth "Pittore dell'umanità"
 Mary Webster

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William Hogarth fu il più grande artista inglese del suo tempo.
Fu anche il primo a conquistare da vivo fama e successo in tutta Europa grazie alla sua produzione grafica, ed è ancora oggi universalmente riconosciuto come la maggiore personalità delle arti britanniche. Ma la sua arte e la sua stessa vita furono non di rado in aperta polemica con i tempi, e presentano aspetti non facili da comprendere per il pubblico italiano, cresciuto in una tradizione che attribuisce da sempre alla pittura un ruolo fondamentale.
Mi sia quindi concesso di premettere qualche breve cenno all'ambiente culturale e sociale in cui Hogarth visse ed operò, ma contro il quale sentì tanto spesso il bisogno di lottare.
Tra tutti gli artisti egli fu forse in assoluto il più impegnato, il più deciso ad affrontare ogni tipo di problema di ordine morale, civile e professionale: per lui anche un ritratto poteva diventare un efficace mezzo di propaganda.

Hogarth vide la luce in un periodo che in tempi più recenti e travagliati è stato visto come un'era fondamentalmente tranquilla, tollerante, ordinata e prospera. In realtà, la società in cui egli nacque aveva semplicemente raggiunto una fase di quiescenza dopo decenni di rivoluzioni e di feroci guerre civili. Un sovrano - Carlo I - era salito sul patibolo, un altro - Giacomo II - era stato deposto con la forza, e si era chiamata - solo perché di religione protestante - la dinastia straniera degli Hannover a regnare su un paese dove molti consideravano ancora legittime le rivendicazioni dei cattolici Stuart.
I partigiani della casa di Hannover formavano il partito whig, dominato dalle grandi famiglie aristocratiche, principali artefici nel 1688 della deposizione del cattolico Giacomo II. La grande nobiltà aveva anche saputo far passare una costituzione che limitava il potere regio a favore del parlamento, manovrato a sua volta dalla fazione whig grazie a tutta una serie di espedienti di ordine politico, non esclusa la corruzione e la distribuzione di cariche ed uffici. Il partito tory comprendeva invece molti simpatizzanti degli Stuart in esilio, screditati dall'epiteto di "giacobiti", e rappresentava soprattutto la piccola nobiltà rurale, in lotta contro i grandi proprietari terrieri whig e i loro alleati: i ricchi mercanti della City di Londra. Vedremo più avanti come tutti questi conflitti politici si riflettano nell'arte di Hogarth in maniera diretta - come nella 'Marcia verso Finchley' ( n. 85) e nella serie dell''Elezione' (nn. l03- l06) - o influenzino indirettamente i pacifici ritratti di gruppo delle potenti famiglie mercantili, come ad esempio la scena di conversazione tra 'Lord Hervey ei suoi amici Fox' (Ickworth, The National Trust).

All'origine di queste tensioni vi erano spesso motivi religiosi.
La chiesa anglicana, nata dalla Riforma con il sovrano come capo supremo, era strettamente alleata con la monarchia, che tuttavia non riuscì mai ad imporne del tutto i principi ad una popolazione divisa tra una minoranza cattolica e una notevole massa di dissenzienti, che aderivano a forme più intransigenti di protestantesimo, rifiutando la gerarchia episcopale e l'eccessivo ritualismo della vita religiosa.
La tradizione protestante, con le sue diverse sfaccettature, ebbe un peso notevole sullo sviluppo dell'arte inglese, in quanto la Riforma propendeva in linea di principio per l'iconoclastia e respingeva ogni forma di immagine religiosa, in quanto contraria ai precetti divini rivelati dal Vecchio Testamento. Di conseguenza, gli artisti inglesi non venivano chiamati, come i loro colleghi cattolici, a dipingere pale d'altare o affreschi nelle chiese, né ad illustrare soggetti religiosi per adornare le dimore signorili. Solo i tories più inclini ad accettare i principi della "chiesa alta" commissionavano occasionalmente qualche pala d'altare, dove tuttavia erano ammessi solo pochissimi temi, legati a citazioni bibliche o alle pratiche religiose dei primi cristiani. I pittori del Settecento - soprattutto se erano stati all'estero - denunciarono spesso questo stato di cose, che li privava in pratica di un'intera gamma di espressione, ma il divieto di produrre arte religiosa di qualsiasi tipo non cessò di pesare in senso negativo sulla vita artistica inglese per tutto il corso del secolo.

Fin dalla Riforma, le varie sette protestanti avevano permeato la società anglosassone di severe regole morali. I precetti cristiani sono ovunque gli stessi, ma il protestantesimo insisteva particolarmente sul dovere di ogni singolo individuo di condurre un'esistenza moralmente ineccepibile. Ciò implicava una rigida disciplina, che nel caso degli estremisti puritani poteva essere il risultato di un'intima conversione ad uno stile di vita cristiano, mentre per i più moderati anglicani scaturiva naturalmente dall'osservanza dei comandamenti di Dio, illustrati e predicati dalla chiesa. Agli inizi del Settecento, in Inghilterra, il protestantesimo aveva ormai perso gran parte del suo potere spirituale, così forte nel secolo precedente. A toglierglielo aveva senza dubbio contribuito il trionfo della ragione, diventata il vero arbitro di ogni comportamento spirituale o materiale, e il nuovo fondamento di una società stanca di conflitti religiosi e influenzata dai pensatori whig - come John Locke - e dal risalto che essi davano al "senso comune". La colorita società dei tempi di Hogarth, con il suo culto della moda, l'audacia di pensiero, la ricerca del razionale e il rispetto per le virtù sociali - in particolar modo la tolleranza e la generosità di cuore - non deve farci dimenticare la candida fedeltà di molti dei suoi membri ad una morale chiara e semplice, ma non per questo meno rigida e severa. Questo contrasto tra i sentimenti più profondi della popolazione e gli aspetti esteriori della vita civile è uno dei motivi-chiave dell'arte di Hogarth, che scava così spesso nel conflitto tra la norma e la sua applicazione pratica in seno alla realtà sociale. In particolare, non è possibile capire le sue grandi opere satiriche se non si ammette che alla loro base vi è uno dei principi basilari della religione protestante: l'individuo costruisce esclusivamente con le proprie mani, e per libera scelta, la sua condotta e il suo destino. Le tragedie di Hogarth sono le tragedie dei caparbi, condannati esclusivamente dal loro arbitrio ed egoismo, non da un destino più forte di loro contro cui non si può resistere o lottare.

Se vogliamo insistere sulla profonda serietà di quest'epoca e sul suo categorico rifiuto di venire a compromessi sul significato morale delle azioni umane, non dobbiamo però dimenticare che tutto ciò andava assumendo forme sociali e culturali completamente nuove. Fu solo nel XVIII secolo che la borghesia - cui anche Hogarth apparteneva - cominciò ad imporre l'austerità e i valori che le erano propri all'intera società, battendosi sia contro l'arroganza e la protervia dell'aristocrazia, sia contro la violenza e l'anarchia del popolino. Nella società inglese, tuttavia, serpeggiavano forze che inducevano lo spirito dei tempi ad una maggiore indulgenza, ad un certo cinismo mondano, ad un più alto grado di tolleranza in materia di religione. Il XVII secolo era stato un periodo di scontri violenti, o addirittura sanguinosi, tra le diverse sette protestanti, ma nei primi decenni del Settecento cominciò a farsi strada - perfino tra il clero anglicano, grazie soprattutto all'iniziativa di uno dei mecenati di Hogarth, il vescovo Hoadley (cfr. n. 146) - l'opinione che un cristiano poteva guadagnarsi la salvezza eterna con la fede e le preghiere, indipendentemente dalla chiesa alla quale apparteneva. Questa corrente di pensiero - nota come latitudinarismo - che poneva l'accento sul sentimento religioso più che non sull'ortodossia, si fece sempre più strada grazie al favore con cui venne accolta dai grandi politicanti whig, che ne apprezzarono il messaggio di tolleranza e ne inserirono i principali esponenti nella gerarchia ecclesiastica, non senza fiere discussioni e resistenze.

Il pensiero laico era dominato dalle dottrine scientifiche di Isaac Newton, cui si attribuiva l'individuazione dei meccanismi inalterabili che governavano l'universo, e dalle teorie di Locke, considerato lo scopritore dei principi che regolavano la conoscenza umana e quindi anche - secondo il punto di vista whig - l'ordinamento della società. Malgrado le falle apertesi in questi sistemi filosofici fin dalla fine del XIX secolo, non vi è dubbio che nel Settecento essi avevano generato la certezza che l'uomo e la natura fossero dominati da leggi fisse, che erano alla portata della mente umana. E questo avvalorava quel concetto di autonomia morale che l'Inghilterra del XVIII secolo aveva ereditato dal passato. Nuove forze economiche erano anch'esse al lavoro e stavano innalzando le principali famiglie mercantili della City di Londra al medesimo livello di ricchezza, e spesso anche di prestigio, delle grandi case aristocratiche che detenevano il potere fin dai tempi dei Tudor e degli Stuart. In Inghilterra il rango sociale era legato concretamente e simbolicamente al possesso della terra, e i nobili proprietari di enormi feudi, situati spesso in più di una contea, godevano di un'immensa autorità. Sotto di loro c'era la piccola nobiltà campagnola degli squires, possidenti spesso ricchi, la cui importanza esclusivamente locale era anch'essa legata alla terra.
Ma la proprietà fondiaria dava a questa categoria di persone uno straordinario mezzo di controllo sulla società in cui vivevano, in quanto comportava la possibilità di essere nominati giudici di pace: una magistratura la cui giurisdizione travalicava i confini distrettuali e si estendeva anche alla contea cui ogni singolo distretto apparteneva. Nell''Attribuzione di paternità' (n. 127) vediamo appunto uno di questi magistrati - gentiluomini indagare sul caso di una ragazza-madre: il suo compito è quello di stabilire chi sia il padre del bambino che sta per nascere.

I vecchi pregiudizi dell'ancien régime contro la borghesia mercantile erano certamente condivisi anche dall'aristocrazia e dalla piccola nobiltà inglesi, ma erano molto meno forti che sul continente. I figli cadetti dei gentiluomini di campagna facevano spesso il loro apprendistato presso qualche mercante di città. Nell'Inghilterra di Hogarth, le imprese commerciali, bancarie e finanziarie della City di Londra costituivano infatti una fonte alternativa di ricchezza di dimensioni colossali. L'unione - o piuttosto la mésalliance - tra una famiglia aristocratica e quella di un ricco commerciante cittadino è il tema del 'Marriage à la Mode' (nn. 57-62). Nel suo celebre ciclo, Hogarth denunciava la corruzione della società mettendo in scena insieme, l'uno di fronte all'altro, i rappresentanti delle due classi con le loro caratteristiche più specifiche: il nobile frivolo ed altezzoso, il mercante avido e gretto. Fu proprio ai tempi di Hogarth che le alleanze tra i grandi proprietari terrieri - indebitati fino al collo e quindi non più in grado di mantenere uno stile di vita adatto al loro rango - e le borse colme di denaro dei nuovi ricchi cominciarono a diventare un fenomeno endemico della società anglosassone. Al di sotto di queste classi opulente, scendendo ulteriormente i gradini della scala sociale, ci si imbatteva nella piccola borghesia artigiana e bottegaia - una tipica famiglia di questo genere è la protagonista della celebre stampa intitolata 'Sera' (n. 51) - e infine in una plebaglia dalle abitudini e dai divertimenti rozzi e volgari.

Hogarth osservava la società inglese con gli occhi di un cittadino di Londra. La metropoli, con la sua grande concentrazione di folla, la sua ricchezza e il suo potere, rappresentava nel Settecento il vero specchio della vita, mentre la campagna era legata ai concetti di isolamento e di tranquillità. A Londra era possibile osservare il tumulto dell'esistenza umana in tutta la sua infinita varietà, dagli eccessi della moda e della raffinatezza fino al degrado più estremo ed ai vizi più sordidi. Nei celebri romanzi del Settecento, gli eroi e le eroine, anche se erano nati nei luoghi più remoti del paese, venivano immediatamente trasportati dal narratore a Londra, dove gli scherzi della fortuna erano all'ordine del giorno e i personaggi si potevano confrontare con un'infinita varietà di ambienti e di soggetti umani. Ciò è vero sia per 'Clarissa' di Richardson, sia per 'Tom Jones' di Fielding: l'unica eccezione è 'Tristram Shandy' di Sterne. Uno solo dei grandi cicli di Hogarth, 'L'elezione' (nn. 103-106), è ambientato al di fuori dei confini di Londra, ma ciò è dettato da motivi politici e di attualità. L'artista era così profondamente legato alla sua città che uno specialista di topografia londinese, H. B. Wheatley, ha potuto dedicare un intero libro alla Londra di Hogarth. E non va mai dimenticato che per i contemporanei del pittore, che non avevano la fortuna di abitare nella capitale, uno dei principali motivi di interesse dell'arte sua era rappresentato proprio dalle scene di vita londinese, descritta in tutta la sua violenza, dissolutezza e drammaticità.

William Hogarth nacque nel 1697 a Londra, in Bartholomew Close, da un maestro di scuola, scrittore fallito, di tendenze religiose non ortodosse. La classe sociale cui la famiglia apparteneva era piuttosto modesta, equiparabile più o meno a quella dei piccoli artigiani, di cui condivideva il rigoroso puritanesimo. Ancora adolescente, Hogarth entrò come apprendista nella bottega di un incisore su argento, Ellis Gamble, che era suo parente alla lontana. In un'epoca opulenta come il XVIII secolo, un mestiere in rapporto con l'oreficeria poteva garantire ad un ragazzo volonteroso un destino fortunato. I pezzi di argenteria - specie se riccamente lavorati - da esporre nei saloni e sulle tavole da pranzo come segno di ricchezza e di prestigio erano molto richiesti da parte delle famiglie nobili o dei borghesi facoltosi. Il prezioso servizio da toilette della contessa, nella quarta scena del 'Marriage à la Mode' (n. 60), non è che una della molte allusioni di Hogarth a questa particolare forma di ostentazione, tipica della società elegante del suo tempo.

Era molto diffusa l'abitudine di personalizzare l'argenteria di famiglia con lo stemma del casato, e Hogarth si specializzò proprio in questo tipo di lavoro. L'incisione su lastre d'argento costituì probabilmente la sua prima iniziazione all'arte del disegno, ma fece anche nascere in lui quell'interesse per le tecniche calcografiche che non lo abbandonò mai, inducendolo ad esplorare per tutto il resto della vita le infinite possibilità offertegli - soprattutto nel campo della riproduzione - dall'arte della stampa. Ma, per un giovane attivo e intraprendente, incidere motivi araldici e un limitato repertorio di disegni ornamentali si rivelò un lavoro eccessivamente monotono, e, dopo soli sei anni (il tirocinio di solito ne durava sette), Hogarth decise di abbandonare il mondo dei metalli nobili e di passare all'incisione su quel mezzo più duttile che è il rame. Annunciò al pubblico la sua nuova posizione di incisore indipendente con uno di quei cartoncini pubblicitari che tutti i negozianti del Settecento si facevano stampare (n. 1). Il biglietto, datato 6 aprile 1720, reca, elegantemente incisi, il suo nome e la sua professione dentro un cartiglio architettonico, fiancheggiato dalle figure allegoriche dell'arte e della storia. Era giunto il momento in cui Hogarth - privo com'era di qualsiasi preparazione specifica - decise di gettarsi corpo ed anima ad imparare i primi rudimenti delle belle arti.

La pittura inglese era da lungo tempo succube di tutta una serie di artisti stranieri alla moda, la cui principale occupazione era quella di dipingere ritratti, l'unico tipo d'arte per cui l'intera società dimostrava un autentico interesse. Il gusto per gli altri generi artistici, e in particolar modo per il più nobile di tutti, la pittura di storia, era limitato alla piccola élite dei veri raffinati, che si autodefinivano conoscitori e preferivano di gran lunga le opere dei maestri del passato, perfino se di dubbia autenticità, ai dipinti prodotti anche dal più grande dei loro connazionali. Gli stili importati dall'Europa si erano quindi imposti in Inghilterra fin dai tempi di Van Dyck, e, intorno al 1720, la ritrattistica subiva ancora pesantemente l'influsso di sir Godfrey Kneller, un abile pittore di formazione olandese.
La storia dell'arte inglese del Settecento è anche quella della lotta intrapresa dai talenti indigeni per liberarsi dall'egemonia degli stranieri, fondare una scuola nazionale e raggiungere una completa padronanza del mestiere, attigendo contemporaneamente allo studio della natura e all'insegnamento dei grandi geni dell'arte.

Sotto molti aspetti, il primo animatore di questo movimento di emancipazione artistica nazionale fu proprio Hogarth. Egli era a sua volta un sincero ammiratore dei grandi maestri, soprattutto di quelli del Seicento come Rembrandt, Rubens e i Bolognesi - i Carracci, Guido Reni e Domenichino - ma era anche convinto che l'arte non avrebbe mai potuto fiorire veramente in Inghilterra senza un adeguato mecenatismo. A suo avviso, con il loro cieco entusiasmo per quelli che essi ritenevano venerabili capolavori olandesi o italiani, i cosiddetti conoscitori sperperavano il denaro e l'ammirazione con cui avrebbero potuto incoraggiare i talenti nazionali. Per tutta la vita egli osteggiò sempre apertamente il collezionismo di dipinti dei maestri del passato, anche se non disdegnò mai di studiarne e di imitarne le opere.

Lo stesso tipo di nazionalismo, ma in una forma molto meno razionale, traspariva anche dal suo atteggiamento verso l'arte e le mode francesi, che esercitavano sull'Inghilterra un influsso altrettanto potente e universale che sul resto dell'Europa del Settecento. Da un lato Hogarth denunciava senza mezzi termini quelle usanze francesi che più si prestavano alla satira: la vivacità affettata ed eccessiva, le chiacchiere inutili, la frivolezza e la pretenziosità. Nella 'Porta di Calais' (cfr, n. 83), il dipinto (Londra,Tate Gallery) eseguito nel 1748 dopo un viaggio a Parigi, egli contrapponeva sarcasticamente la fame e la miseria del popolo francese, sottomesso ad un sovrano dispotico e ad un clero ingordo, al solido benessere della vita inglese, simboleggiato da un'immensa lombata di bue. Dall'altro lato, invece, egli aveva troppo buon gusto per non riconoscere la maggiore finezza ed eleganza dei Francesi, e questo anche nella sua stessa professione di incisore. Così non solo egli trasse ispirazione dagli artisti francesi che lavoravano in Inghilterra, come il disegnatore ed incisore Hubert Gravelot, ma adeguò anche il suo stile - soprattutto nelle prime opere - a quello dei pittori della Régence, come Watteau e Lancret, e arrivò al punto di cercare proprio in Francia i professionisti in grado di aiutarlo ad incidere le tavole del 'Marriage à la Mode', il più raffinato dei suoi celebri cicli, pubblicato nel 1745.

Anche se i committenti inglesi degli anni venti amavano farsi ritrarre da pittori di moda come Jervas, Tillemans e Richardson, che rispettavano la grande tradizione instaurata da Lely e da Kneller, quando si rivolgevano ad altri artisti era solo per procurarsi immagini delle loro case, dei cavalli e dei cani, o di quelle attività all'aria aperta - come la caccia - che erano i loro passatempi preferiti. Con una clientela di questo genere, la produzione artistica - indipendentemente dalla qualità delle singole opere - non poteva che essere essenzialmente documentaria e lasciare ben poco spazio alla fantasia. Così i migliori artisti anglosassoni, profondamente insoddisfatti di una situazione non destinata ad evolversi per tutto il corso del Settecento, cominciarono - in sintonia con i collezionisti - a voltare le spalle a quegli ideali di esatta imitazione del vero che avevano più o meno ispirato tanti maestri minori del XVII secolo olandese. Il nuovo modello da seguire era la nobile arte barocca italiana e francese, con i suoi temi aulici, che davano finalmente modo di rappresentare gli atteggiamenti e le azioni umane utilizzando un linguaggio poetico e intensamente espressivo.
Come gli altri artisti della sua generazione, anche Hogarth avrebbe in seguito aderito a questa corrente di pensiero, dedicando molte delle sue energie a produrre quadri storici di gusto barocco, come le grandi tele per l'ospedale di St. Bartholomew (una commissione "rubata" al pittore veneziano Amigoni con lo stratagemma di rinunciare a qualsiasi compenso) e per la sala delle udienze del Lincoln's Inn (cfr. n. 94), dipinte nella speranza di emulare i grandi maestri del XVII secolo. Ma per esprimersi nelle forme ideali della pittura barocca di storia era indispensabile uno speciale tirocinio, basato sullo studio dell'arte classica, sulla conoscenza delle opere dei grandi geni della pittura e sul disegno dal vero. Alcuni artisti inglesi avevano già costituito una loro scuola privata, nota come accademia di St. Martin's Lane e presieduta da John Vanderbank e Louis Cheron. Hogarth vi si iscrisse nell'ottobre del 1720, in qualità di socio sostenitore, e vi apprese il disegno elementare copiando calchi ed incisioni, per poi passare allo studio dal modello. Com'era nella sua natura, divenne presto insofferente delle lungaggini del tipo di insegnamento che gli veniva impartito e mise a punto un suo personale sistema stenografico di memorizzazione visiva.

Tuttavia, le prime prove dell'artista - due fantasiose allegorie dei danni provocati dalla speculazione (nn. 3 e 7) - non risentono affatto di questa sua preparazione di tipo accademico, ma rientrano in un genere allora molto in voga, quello delle stampe satiriche su temi di attualità. Nel Settecento questo tipo di immagine aveva un'importanza e una diffusione paragonabili solo a quelle delle caricature pubblicate oggigiorno sui giornali, e Hogarth continuò a servirsene come del mezzo più idoneo ad esprimere i suoi commenti di ordine sociale, politico, artistico e morale sul mondo contemporaneo.

All'epoca in cui Hogarth si mise in proprio, era buona norma per un incisore alle prime armi lavorare per conto di un editore, che provvedeva alla distribuzione delle stampe, ma incamerava gran parte dei profitti e ricorreva anche spesso ad atti di pirateria e ad altre forme di sfruttamento del lavoro degli artisti. Nel 1735 lo stesso Hogarth doveva finalmente riuscire a far approvare dal parlamento una legge sui diritti d'autore, che garantiva agli artisti la proprietà esclusiva delle loro invenzioni originali per un periodo di quattordici anni. Il provvedimento gli permise di pubblicare e di vendere di persona le sue opere incisorie, senza dover dividere con altri frutti delle sue fatiche.

Ma negli anni venti Hogarth era ancora vincolato agli editori di libri e stampe, e la sua innata capacità di tradurre la satira in immagine gli procurò il primo incarico importante nel campo dell'illustrazione libraria: una serie di dodici grandi tavole per un'edizione di 'Hudibras', il poema eroicomico di Samuel Butler che metteva in ridicolo i puritani (nn. 12-18). Fu un'esperienza importante per il futuro sviluppo della sua arte, perché gli imponeva per la prima volta di seguire il filo continuo di un racconto attraverso una sequenza di immagini.

Il più grande pittore di soggetti storici degli anni venti e il massimo esponente inglese del genere storico era sir James Thornhill (1675/76-1754), autore delle decorazioni del salone dell'ospedale di Greenwich e della cupola della cattedrale di St. Paul, che Hogarth ammirava enormemente. Quando l'accademia di St. Martin's Lane chiuse per fallimento, il giovane artista si trasferì in quella aperta da Thornhill, nel novembre del 1724, nella sua casa di Covent Garden, dove "a proprie spese chiunque aveva la facoltà di iscriversi per venire ogni sera a disegnare gratis". Con il suo ingresso nella scuola d'arte di Thornhill, Hogarth si schierava apertamente dalla parte di coloro che volevano veder nascere una grande pittura storica fatta dagli inglesi per gli inglesi.

Altrettanto importante per la sua carriera fu l'incontro con la figlia di Thornhill, Jane, che Hogarth sposò in segreto e senza il consenso del padre il 23 marzo 1729. L'artista fu per tutta la vita un uomo profondamente devoto alla famiglia, sinceramente affezionato alla moglie, ai parenti e perfino ai domestici di casa; di tutte queste persone egli ci ha lasciato ritratti pieni di tenerezza e di sensibilità. Non ebbe mai figli, ma dai suoi tanti ritratti di bambini traspare sempre un trepido affetto per l'infanzia. I ritratti di gruppo, noti in Inghilterra come scene di conversazione ed estremamente di moda nel Settecento, mostravano intere famiglie, spesso con qualche amico di casa e i relativi parenti, riunite senza formalità per le occupazioni di tutti i giorni. Lo scopo di queste opere era quello di esibire lo stato sociale della famiglia, ma soprattutto la sua intimità domestica, con tutti i sentimenti affettuosi che contribuivano a formarne la felicità. Il genere aveva preso forma in Italia durante il Rinascimento, ma era giunto all'apice del successo nei Paesi Bassi del XVII secolo, e da lì era stato importato in Inghilterra. Ai tempi di Hogarth, le scene di conversazione - come tanti altri generi pittorici in voga - erano diventate più brillanti e vivaci. Vi si avvertiva ancora qualche reminiscenza dei maestosi e solenni gruppi familiari del secolo precedente, con il loro sfoggio di ricchezza e di importanza sociale, messe in risalto dal solito corredo teatrale della ritrattistica barocca. Ma le figure, ora, erano più minute ed animate, i gruppi sociali più intimi e briosi, mentre le pose e l'intrecciarsi dei piccoli gesti quotidiani tendevano a definire i rispettivi ruoli di ogni singolo personaggio.

Hogarth ebbe subito successo con questo genere di opere. Quelle che sono giunte fino a noi si possono classificare in due diversi gruppi: le scene di conversazione in un interno come la 'Famiglia Wollaston' (n. 130) del 1730 - e quelle all'aria aperta, come la 'Famiglia Jones' (n. 131), dipinta all'incirca negli stessi anni. Le due categorie hanno un tono diverso: gli interni, infatti, tendono ad accentuare la ricchezza e il prestigio del casato e consistono di solito in una grande sala sfarzosamente decorata e ammobiliata, spesso secondo il gusto piuttosto pesante del grande architetto decoratore allora in voga, William Kent. Le scene all'aperto, invece, sono ambientate in un giardino di aspetto convenzionale, alla francese, con i tipici bocages verde tenero dello stile Régence e qualche struttura in marmo in primo piano, come un piedistallo sormontato da un'urna o da una statua. Le figure sono invariabilmente esili e vestite in modo elegante. La naturalezza e la vivacità di queste opere di Hogarth riescono a mascherare quel tanto di artificioso che esiste sempre in dipinti del genere. Ritrarre un gruppo numeroso era un vero problema per gli artisti, data l'impossibilità pratica di far posare tanta gente tutta insieme. Il pittore era quindi obbligato ad inserire le singole figure in momenti diversi, a seconda delle precedenze fissate per le sedute di posa, tenendo a mente lo schema generale di sua invenzione, dove ogni personaggio doveva sembrare in rapporto con gli altri e in atteggiamenti spontanei e naturali. Il realismo di queste opere era solo apparente, scopriamo infatti che gli ambienti e il loro arredamento sono spesso generici, o perlomeno versioni rivedute e corrette della realtà. Malgrado il loro sapore domestico, i ritratti di gruppo di Hogarth non sono altro che scene di teatro, dove il pittore costruisce i fondali e sistema gli attori in modo da simulare la vivacità della vita reale.

Come sa bene chi si interessa di cultura veneziana, il teatro era lo svago preferito della società settecentesca. Ciò era altrettanto vero in Inghilterra, dove la gente colta e le classi più umili subivano allo stesso modo il fascino del palcoscenico, sede naturale della tragedia, della commedia, della satira politica e sociale, dello sfoggio di buoni sentimenti e di splendidi costumi, della parodia e del trasformismo. Con un pubblico di autentici patiti come quello anglosassone non c'è da stupirsi che il teatro abbia ispirato a quel pittore-umorista che era Hogarth sempre attento anche al successo commerciale delle sue opere - tutta una serie di spunti validissimi in ogni fase della sua carriera. Già nel 1728 egli dipinse una scena del più grande successo del giorno, l''Opera del mendicante' (n. 126) di John Gay, brillante parodia dei luoghi comuni del grande dramma tragico, il cui eroismo viene capovolto assegnando le parti a ladri, banditi, farabutti e alle loro puttane. Pochi anni prima di morire, Hogarth dedicò uno dei suoi ritratti più belli, di impostazione affatto nuova, al grande attore David Garrick (n. 156), sorpreso dal gesto scherzoso della deliziosa moglie: la ballerina Eva Maria Veigel. Ma già lo aveva ritratto in precedenza nelle vesti del Riccardo III di Shakespeare (Liverpool, Walker Art Gallery), uno dei suoi prediletti ruoli tragici.

Non è da escludere che la struttura classica dei testi teatrali - cinque atti seguiti da una farsa - abbia influito sul concetto di "storia morale" di Hogarth. Si trattava di un genere completamente nuovo, un'invenzione personale dell'artista, che inaugurò una vera e propria tradizione artistica, squisitamente anglosassone e destinata a rimanere in vita per un secolo e mezzo. Il concetto era essenzialmente quello di raccontare una storia attraverso una successione di immagini immediatamente comprensibili al pubblico contemporaneo. Hogarth stesso spiegava che, malgrado il suo successo, «le scene di conversazione non sono pagate abbastanza da permettermi di provvedere a tutti i bisogni della mia famiglia. Così ai clienti che me ne chiedono io suggerisco il nome di altri artisti e volgo il mio pensiero ad un tipo di attività molto più nuovo, che è quello di dipingere e di incidere soggetti morali di attualità: un campo ancora vergine in ogni paese ed ogni età. Avendo a che fare con la generalità del pubblico ho scoperto che, purché si riesca a fustigare le umane passioni, questa è la cosa più promettente che si possa fare e l'unica che mi consenta, raggranellando le piccole somme che molti sono disposti a pagare per le stampe che posso incidere da me dai miei quadri, di non rinunciare alla proprietà delle mie opere».

La soluzione del dilemma escogitata da Hogarth era davvero ingegnosa, e gli era stata suggerita dalla sua esperienza di incisore, senza la quale l'idea non era realizzabile sul piano commerciale. Invece di contare su un numero esiguo di committenti, disposti a pagare un alto prezzo per una o più opere, egli avrebbe dipinto quadri da tradurre in stampe, che era in grado di incidere da solo. Così tutto il guadagno sarebbe stato suo, e i proventi di una vendita capillare ad un pubblico molto più vasto gli avrebbero assicurato un reddito che lo rendeva indipendente dai capricci e dai gusti difficili degli intenditori, come pure dallo sfruttamento delle case editrici. L'unica difficoltà era quella di scovare argomenti di successo, in modo da assicurarsi grandi tirature. Hogarth capì immediatamente di dover fare presa "sulle passioni", giocando quindi sulla forte emotività del pubblico per eccitarne il riso, la pietà, il disprezzo o la paura, proprio come facevano i testi teatrali con gli spettatori.

In realtà - come riferisce nei suoi taccuini l'incisore e antiquario George Vertue (1684-1756) - Hogarth dapprincipio non pensava affatto a dipingere una serie di quadri che narrassero singoli episodi di un unico racconto. Egli cominciò invece con una sola tela: «tra le sue altre invenzioni nel campo della pittura egli iniziò un quadretto di una comune prostituta, di quelle che abitano dalle parti di Drury Lane, che si alza dal letto a mezzogiorno e fa colazione, servita dalla più infima delle cameriere. L'idea piacque a molti - la donna, noncurante delle sue vesti discinte, ha un aspetto e un'aria molto graziosi - e qualcuno gli suggerì di dipingerne un pendant, cosa che egli fece. Poi le idee cominciarono a moltiplicarsi grazie alla sua fervida fantasia, finché i soggetti divennero sei, tutti diversi e dipinti in modo tanto naturale, pieno di idee e così espressivo che tutti venivano a vederli».

In conclusione, intorno al 1730, Hogarth deve aver dipinto quella che è ora la terza tavola del ciclo inciso. Se si osserva la scena, appare chiaro che poteva benissimo trattarsi di un soggetto a se stante: la sgualdrina in déshabillé, con la sua grazia lasciva, fa colazione a letto mentre alle sue spalle sta entrando la nemesi, che ha assunto l'aspetto del magistrato venuto ad assicurarla alla giustizia. L'episodio è il perno di tutta la storia, dato che le due scene precedenti spiegano come la prostituta sia diventata tale, e le tre successive narrano il suo destino dopo l'arresto. Si tratta, in un certo senso, di pure aggiunte complementari, destinate a soddisfare la nostra curiosità per le vicende della protagonista. Hogarth chiamò la serie dei sei soggetti 'A Harlot's Progress' ('Carriera di and prostituta'; cfr. nn. 23-28, 128-129), un titolo in cui chiunque avrebbe subito captato un'allusione ad uno dei testi devozionali inglesi più diffusi tra i credenti, 'The Pilgrim's Progress' ('Il viaggio del pellegrino') di Bunyan, che descrive il cammino che l'anima cristiana deve percorrere per ottenere la salvezza eterna.

Il successo del ciclo fu tale che Hogarth lo fece astutamente seguire da un'analoga serie, la 'Carriera dei libertino' (Londra, Sir John Soane's Museum; cfr. nn. 33-40), che illustra le conseguenze del comportamento moralmente irresponsabile di un personaggio questa volta maschile. L'ambiente in cui si svolge questa nuova storia è socialmente molto più elevato di quello dei bassifondi della 'Carriera di una prostituta', dato che il libertino è figlio di un ricco usuraio e aspira ad entrare nel gran mondo elegante e aristocratico in cui Hogarth avrebbe ambientato poi l'ultimo dei suoi cicli morali, 'Marriage à la Mode' (Londra National Gallery, cfr. nn. 57-62).

È venuto il momento di riesaminare la celebre 'Carriera di una prostituta', per cercare di scoprire i concetti artistici che ne hanno ispirato la composizione. Anche se sotto certi aspetti Hogarth è il più originale degli artisti, egli era un uomo molto versato nella teoria dell'arte e decisamente influenzato dagli ideali estetici del suo tempo. Conosceva anche molto bene - tramite le incisioni, gli originali o le copie - la pittura del Sei e Settecento, come pure l'arte europea contemporanea. Commetterebbe il più madornale degli errori chi volesse vedere nella sua straordinaria capacità inventiva l'espressione spontanea di un genio privo di istruzione. In quell'autentica epoca d'oro del classicismo europeo, i critici e i professionisti del mondo dell'arte avevano convinto se stessi e il pubblico che la bellezza sottostava a certe leggi che era possibile scoprire ed enunciare. Non si potrà mai comprendere l'arte inglese del XVIII secolo e in particolar modo l'opera di un uomo intelligente e di un vero intellettuale come Hogarth - se non si tiene conto dell'influsso esercitato su di essa dalle teorie estetiche e dall'imitazione dei maestri del Rinascimento e del Barocco, divenuti a quel punto per ogni aspirante pittore i grandi modelli da seguire. Infatti, benché Hogarth accusasse i conoscitori di entusiasmarsi soltanto per le opere straniere ed antiche, a spese degli artisti anglosassoni viventi, ciò non intaccò mai la sua sincera ammirazione per i maestri del passato.

La teoria artistica classicista dell'epoca barocca, enunciata da Junius nel suo 'De pictura veterum' (pubblicato in inglese nel 1638) e sviluppatasi a Parigi e a Roma nella seconda metà del XVII secolo, avvicinò ulteriormente i canoni estetici della pittura di storia a quelli della poesia, portando così avanti un processo di assimilazione instaurato dai primi teorici del Rinascimento. Poiché i temi della pittura storica erano essenzialmente eroici, le analogie con l'epica - la forma più nobile di componimento poetico - e la tragedia - somma espressione del dramma erano particolarmente strette. I dipinti tematici di Hogarth hanno un taglio teatrale evidentissimo, dovuto non soltanto al brillante temperamento dell'artista, ma anche ai dettami della teoria artistica barocca, che considerava l'azione drammatica uno degli elementi essenziali del genere storico. Si sottolineava inoltre che uno dei doveri fondamentali del pittore era quello di esternare con la massima vivacità le emozioni dei protagonisti. Fin dalla fine del Seicento gli artisti attribuivano una tale importanza all'espressione dei sentimenti che Charles Lebrun, il pittore di corte di Luigi XIV, scrisse ed illustrò un suo 'Metodo per imparare a disegnare le passioni', che venne pubblicato nel 1698, ma ebbe nel Settecento tutta una serie di riedizioni, rifacimenti e traduzioni che lo diffusero in quasi tutti i paesi europei: Francia, Olanda, Germania, Inghilterra ed Italia. La teoria dell'espressione non è soltanto uno dei perni della grande maniera storica barocca, ma anche uno dei principali motivi di ispirazione della caricatura barocca, che ottiene molti dei suoi effetti grazie alla distorsione della fisionomia sotto lo stimolo delle passioni. Ed è quindi - sotto ambedue gli aspetti - fondamentale anche per un artista come Hogarth, che passa spesso dal tono grave a quello scherzoso.

Da quanto si è detto parrebbe legittimo concludere che il concetto di ciclo pittorico unitario, costituito da una concatenazione di episodi narrativi, avesse preso forma fin dal XVII secolo. Cicli del genere erano certamente stati molto comuni durante iI Medioevo, ma erano in pratica spariti nel Rinascimento più maturo. II Seicento ci ha lasciato due grandi serie di soggetto laico, ambedue in Francia - le storie di Maria de' Medici dipinte da Rubens per il palazzo del Luxembourg e le decorazioni di Lebrun nella Grande Galerie di Versailles, commissionate da Luigi XIV - e alcuni cicli religiosi molto apprezzati nel Settcento, ma ora quasi dimenticati, il più celebre dei quali era la 'Vita di San Bruno' dipinta intorno al 1648 da Eustache Le Sueur per la certosa di Parigi. I 'Sette sacramenti' di Poussin sono una serie di tele di piccole dimensioni, non un grande ciclo decorativo come quelli di Rubens e di Le Brun. Hogarth conosceva senza dubbio tutte queste opere di fama o attraverso le incisioni, ma esse sono concatenate da un criterio narrativo meno rigoroso, che è quello tipico dei grandi poemi epici, dove l'interesse per l'azione è tenuto vivo da una grande varietà di episodi. Questi cicli più antichi sono privi della caratteristica tensione del dramma classico, in cui la successione degli avvenimenti è inesorabilmente scandita - dal prologo alla catastrofe finale - dal gioco delle parti. L'originalità di Hogarth, e il suo maggiore merito, stanno proprio nell'essere riuscito ad inventare e a trasferire in una sequenza di immagini visive un'azione drammatica dal ritmo straordinariamente serrato. La 'Carriera di una prostituta' può veramente essere definita una tragedia in cinque atti corrispondenti alle prime cinque tavole - completati, secondo la moda del XVIII secolo, da una farsa, che concludeva lo spettacolo in un tono più leggero. Non è affatto escluso che Hogarth intendesse deliberatamente istituire questo tipo di confronto.

Stranamente, può essere stata proprio la sua esperienza di modesto illustratore di libri, impegnato semplicemente ad assistere il lettore nella visualizzazione dei cambiamenti di scena in un poema come 'Hudibras', a far germinare in lui l'idea di inventare un nuovo genere. I problemi con cui doveva confrontarsi erano però moltissimi, in primo luogo perché la poesia può esprimere con le parole tutta una serie di argomenti che il pittore non ha modo di fissare sulla tela. Hogarth era quindi obbligato ad inventare una storia che fosse facile da comprendere una volta tradotta in immagini grafiche - senza bisogno di spiegazioni verbali.

In un mondo relativamente ristretto come quello del XVIII secolo, ciò significava dover scegliere un tema morale di una certa attualità, con situazioni sufficientemente ricche di elementi familiari da renderle immediatamente decifrabili dallo smaliziato pubblico londinese cui le stampe erano destinate. Non ci sorprende, quindi, che egli abbia dato la preferenza ad un soggetto già sfruttato in letteratura e al tempo stesso ben noto agli abitanti di una città che era a quell'epoca, come poi anche nell'ottocento, la metropoli della prostituzione. Dalla 'Moll Flanders' di Daniel Defoe ai tanti opuscoletti allegri e scurrili sulla vita notturna londinese, sul tema delle puttane si era scritto moltissimo ed esisteva ormai tutta una serie di luoghi comuni letterari, utilissimi a chiarire il senso della storia. Hogarth rispettava così indirettamente uno dei canoni del classicismo barocco, interessato non tanto all'originalità del soggetto, quanto piuttosto a trattarlo in maniera efficace.

Dalla vita reale, invece, egli poteva trarre tutta una serie di particolari di costume - gli abiti, i mobili, le suppellettili di tutti i giorni - di un'evidenza lampante per un pubblico composto in prevalenza da uomini di mondo spiritosi, beneducati, amanti della vita, ma fondamentalmente virtuosi. Benché la distribuzione dei ruoli e la disposizione delle figure della sua 'Carriera' rispetti un'altra regola del classicismo barocco, che ammetteva il minor numero possibile di personaggi, Hogarth poteva giustificare i tanti particolari con cui arricchiva il suo racconto rifacendosi ad un'altra tradizione, quella della pittura olandese del XVII secolo. Con i loro soggetti umili, l'umorismo un po' grossolano e la troppo meticolosa diligenza delle loro nature morte, i dipinti di quel tipo non avevano nulla per piacere all'élite dei "cognoscenti", che infatti li disprezzava e considerava quel genere artistico come qualcosa di volgare. Ma al di fuori della muta cerchia - peraltro assai ristretta - degli intenditori raffinati, fedeli come sempre ai grandi ideali del classicismo franco-italiano, i quadri olandesi erano sinceramente ammirati e avidamente collezionati da un vasto pubblico, che ne apprezzava la straordinaria capacità di imitare la natura. Va tuttavia osservato come tutti questi precedenti artistici, di cui l'artista era sempre perfettamente conscio, nulla tolgano alla straordinaria originalità con cui egli si serve degli oggetti quotidiani, dei mobili, dei quadri per approfondire i caratteri e la storia dei suoi personaggi. E ad essi non attribuisce una funzione simbolica - di simbolico come di caricaturale c'è ben poco in Hogarth - ma li utilizza per arricchire i singoli episodi di dati integrativi chiarificanti o di cenni ironici di commento. In questa descrizione precisa e realistica dell'ambiente ogni elemento ha un suo profondo significato e va letto attentamente per non lasciarci sfuggire le rivelazioni e i sottintesi che l'artista dissemina continuamente nel suo racconto. Ciò è vero tuttavia soltanto per le "storie morali": la ritrattistica sottosta evidentemente a regole diverse.

Come ultima risorsa, Hogarth poteva ricorrere alle didascalie, e anche in questo caso egli rispettava assai più di quanto non si immagini l'interpretazione che veniva data ai suoi tempi alla teoria della più sublime delle arti. Nel secondo decennio del Settecento si era fatta strada una sorta di reazione al linguaggio emblematico del XVII secolo. Lo stesso abate Dubos, autore delle 'Réflexions critiques sur la Poésie et la Peinture', pubblicate per la prima volta nel 1719, ma destinate a diventare uno dei testi di teoria artistica più letti ed influenti di tutto il Settecento, protestava contro le astrusità allegoriche che avevano reso tanto oscuro persino il significato del ciclo celebrativo di Le Brun nella Grande Galerie di Versailles. I pittori avevano fatto ricorso troppo spesso ad un simbolismo di loro esclusiva invenzione, invece di "parlarci il linguaggio delle passioni, comune a tutti gli uomini". Così, per aiutare lo spettatore a capire i loro quadri, essi dovevano scrivervi il soggetto o almeno una qualche frase esplicativa che chiarisse certi concetti di per se stessi incomprensibili. E quindi Dubos approvava la scritta " et in Arcadia ego" apposta da Poussin ad un suo celebre dipinto (Parigi, Museo del Louvre) per metterne in evidenza l'intonazione pastorale. A certi occhi più moderni, condizionati dalla reazione antiletteraria del primo Novecento, quest'uso di artifici poetici per esprimere un concetto squisitamente pittorico può sembrare un ridicolo arbitrio. Ma non bisogna dimenticare che per ben tre secoli, dal Seicento all'Ottocento, non si era fatto altro che cercare di avvicinare e mescolare tra loro pittura e poesia. Dal concetto di 'ut pictura poesis' i teorici dell'arte del Rinascimento e del Barocco erano poi balzati alla conclusione che la pittura doveva fare appello alle passioni. Il concetto era certamente derivato dalla 'Poetica' di Aristotele, dove si affermava che lo scopo della tragedia era quello di suscitare emozioni come il terrore e la pietà nell'animo degli spettatori, per poi purificarlo attraverso la catarsi. La teoria era ancora in voga nel Settecento, e Dubos dedicò una delle sezioni introduttive delle sue 'Réflexions' a dimostrare "che il principale merito delle poesie e dei quadri consiste nell'imitare oggetti che di per se stessi susciterebbero in noi autentiche passioni". E qui l'abate citava un certo numero di esempi della capacità, propria della pittura, di ispirare sentimenti. Abbiamo già visto come Hogarth, durante la preparazione della 'Carriera di una prostituta', fosse ben conscio di dover ricorrere alle passioni se voleva davvero avere successo. Da quanto abbiamo detto derivava un'ulteriore conseguenza. Il fine più nobile dell'arte era quello di fornire esempi morali, che nella pittura storica barocca - come nella tragedia - venivano di regola desunti dalla mitologia o dalla storia antica. Si riteneva infatti che la grandezza morale dei protagonisti di una scena aumentasse l'efficacia e la solennità della lezione che si intendeva impartire. La modernità di Hogarth stava proprio nell'applicare questi stessi principi ad una tragedia borghese. Ciò era forse dovuto, almeno in parte, ad un mutamento culturale avvenuto nella società inglese agli inizi del XVIII secolo. Nell'età barocca, accanto alla narrativa e al dramma di intonazione eroica, si erano andati sviluppando il teatro parodistico e il romanzo picaresco, dove la realtà veniva distorta per alimentare la satira e il cinismo, proprio come la letteratura magniloquente snaturava il vero a vantaggio dell'ideale. Così gli eroi e le eroine dei due diversi generi erano eccessivamente nobili o esageratamente amorali. Negli anni venti e trenta queste tradizioni erano ancora vive, ma cominciavano a far posto ad un realismo più sommesso, che andava cercando spunti per la satira, la commedia e financo la tragedia nella vita reale e nei ceti medi o bassi della società.

Nelle opere ispirate da questa nuova estetica l'arte era ancora profondamente legata alla morale, ma la morale si insegnava con l'osservazione piuttosto che con l'esagerazione. Fu con l'illusionismo naturalistico, vero obiettivo del nuovo realismo, che gli esponenti di questa corrente cercarono di rinvigorire il proprio messaggio. Nella letteratura giornalistica, tanto importante in quel periodo, le due personalità più di spicco della nuova tendenza - Addison e Steele - seppero amalgamare in modo assai garbato la satira umoristica con un tocco di sentimento ed eleganti considerazioni sulla condotta umana. Nel romanzo primeggiava invece Daniel Defoe, capace di raggiungere tali vertici di verosimiglianza, da indurre i critici a disquisire per ben due secoli sull'ipotesi che alcuni suoi racconti non fossero altro - come l'autore si divertiva ad affermare - che ricordi di fatti realmente avvenuti. La coerenza di questo stile, tuttavia, cominciò a venire incrinata dal culto del sentimento, nuovo rifugio dell'idealismo dell'epoca, che stava ormai voltando le spalle al mito dell'eroismo. Una delle prime espressioni del nuovo indirizzo furono i drammi borghesi di George Lillo (1693-1739), un "dissidente" in materia di religione - come Defoe e Hogarth - che faceva di professione il gioielliere, ed era quindi legato al mondo del commercio londinese. Il suo 'Mercante di Londra, ovvero la storia di George Barnwell', messo in scena per la prima volta al Drury Lane il 22 giugno 1731, traduceva in dramma la patetica storia di un apprendista condotto su una cattiva strada. Non era scritto in versi - veicolo tradizionale dei concetti più nobili bensì in prosa, e inaugurava il nuovo genere della "tragedia domestica", destinato a restare in voga in Inghilterra per circa un secolo, e ad influire in modo determinante sull'evoluzione del teatro in Francia ed in Germania. Alla prima rappresentazione di 'George Barnwell' era presente un gruppo di persone venute espressamente per riderne e decretarne il fiasco, ma che invece "tirarono fuori i fazzoletti" per asciugarsi le lacrime. Per molto tempo si continuò a metterlo in scena una volta all'anno per gli apprendisti londinesi, cui doveva servire da monito.

Le storie di Hogarth non vanno però viste esclusivamente come una sorta di speculazione sulle convinzioni di un pubblico profondamente moralista. Esse costituivano piuttosto un invito a sottostare ad una legge morale che il pittore, come la maggior parte dei suoi contemporanei, riteneva indissolubilmente legata alla religione ed ai suoi insegnamenti. Il loro scopo era di dimostrare come la perdita della virtù per eccesso di candore e di innocenza comportasse sul piano morale la perdita della dignità, del rispetto di se stessi e dell'onestà, mentre sul piano materiale conduceva alla degradazione, alla miseria, alla prigione, alla malattia e alla morte. Tale lezione, nel quarto decennio del Settecento, rispecchiava la realtà della vita, in quanto conservare la verginità era per le donne dei tempi di Hogarth l'essenziale banco di prova su cui misurare la propria dignità e forza morale. Il duro castigo che attendeva chi avesse perso la virtù era l'ostracismo della gente per bene e la totale rinuncia alla felicità che viene dall'altrui stima e rispetto.

È interessante osservare come Defoe, Lillo e Hogarth fossero tutti e tre cittadini di Londra, una città che era al tempo stesso un grande centro commerciale e una roccaforte del dissenso in materia religiosa. Alla base del loro realismo - e la cosa non sorprende affatto, visto l'ambiente in cui erano cresciuti - vi era un concetto della vita di un moralismo intransigente, e si potrebbe addirittura dire che i tre non erano che puritani che si servivano del realismo, della satira e del sentimento come di strumenti personali di conversione. Ai loro occhi la vita era piena di insidie tese dal maligno e dai suoi succubi per traviare gli innocenti e gli incauti, proprio come nella prima tavola della 'Carriera di una prostituta'. I semplici avevano il dovere di barricarsi contro i pericoli imparando a riconoscere i trabocchetti del demonio, obbedendo alle leggi morali e religiose, contando sulla propria sensibilità e su una coscienza senza macchie per resistere alle tentazioni e ai cedimenti dell'ingannevole natura umana. Dietro la straordinaria verve dell'invenzione, il fascino del racconto e la vivacità della messinscena si celava quindi un semplice e severo concetto biblico, profondamente radicato nelle coscienze dell'Inghilterra puritana: "Il premio del peccato è la morte".

Tra tutti i generi pittorici del Settecento la ritrattistica vera e propria occupava l'ultimo posto, e se Hogarth la affrontò fu solo - a parte i possibili guadagni - per la comparsa sulla scena londinese di un rivale straniero. Non si trattava affatto di una novità: dal predominio di Van Dyck alla corte di Carlo I nel quarto decennio del Seicento, si era passati, negli anni sessanta, durante il regno di Carlo II, a quello di sir Peter Lely (soprannome dell'olandese Pieter van der Faes), cui era succeduto sir Godfrey Kneller, un tedesco formatosi in Olanda, vero arbitro del gusto in questo particolare campo dagli anni ottanta fino alla sua morte, avvenuta nel 1723. È del tutto comprensibile, quindi, che l'arrivo a Londra - nel dicembre 1737 - di Jean Baptiste Van Loo, famoso ritrattista alla moda parigino, fosse visto con apprensione dagli artisti anglosassoni. Il successo dello straniero fu addirittura prodigioso.

«L'accoglienza che il pittore francese ricevette in Inghilterra - scriveva Rouquet nel suo 'L'Etat des Arts en Angleterre', pubblicato nel 1755 - fu estremamente lusinghiera. Appena egli portò a termine i ritratti di due suoi amici, tutta Londra venne a vederli e a farsene fare uno. È impossibile immaginare che festa sia l'arrivo di un nuovo pittore in questa grande città, purché egli abbia appena un minimo di abilità. Un mare di carrozze si radunò giornalmente davanti alla porta di Van Loo per molte settimane dopo il suo arrivo, proprio come avviene all'ingresso di un teatro. In breve tempo egli si trovò in mano l'ordinazione di centinaia di dipinti e fu obbligato a fissare cinque sedute di posa al giorno: la persona incaricata di aggiornare l'elenco degli appuntamenti veniva generosamente pagata per spostare il vostro nome in fondo alla lista prima che venisse il vostro turno, per il quale spesso si dovevano aspettare non meno di sei settimane dal momento in cui ci si era presentati per farsi dipingere un ritratto».

Hogarth prese l'iniziativa di organizzare la resistenza degli artisti inglesi contro il nuovo venuto. Il mercato del ritratto, com'egli sapeva bene, tendeva a diventare monopolio di pochi artisti alla moda, soprannominati 'face-painters' (pittori di facce), in quanto dipingevano di propria mano soltanto i visi, lasciando il panneggio ai "pittori di stoffe", modesti mercenari che spesso lavoravano piuttosto male. Hogarth non si sentiva un vero ritrattista di mestiere e si limitò, agli inizi, ad opporsi a Van Loo incitando i suoi colleghi ad "arginare quel torrente combattendolo con decisione, i miei studi mi indirizzano su un'altra strada". Ma un tale atteggiamento fece insorgere contro di lui amici e nemici: " Tu parli. Perché non lo fai da te?". Com'era sua abitudine, Hogarth raccolse la sfida, anche se era ben conscio che l'arte del ritratto "si basa soprattutto su una gran pratica e un occhio attento, come dimostrano tanti mediocri talenti che hanno raggiunto le più alte vette in questo campo".

Pronto come sempre ai grandi gesti plateali, che potevano conquistargli il favore del pubblico, decise di dipingere un ritratto a grandezza naturale del capitano Thomas Coram (c. 1668-1751), il noto filantropo. Coram aveva passato in mare la prima parte della sua esistenza, ma nel 1693 si era trasferito nel Massachussetts, prima vicino a Boston, poi a Taunton. Dopo essere rimasto dieci anni in America, dove si era conquistato una buona posizione come costruttore navale, fece ritorno in Inghilterra nel 1703 e per altri sedici anni comandò navi mercantili sulla rotta atlantica. La sua vocazione di filantropo nacque probabilmente negli anni venti, quando egli abitava nel Kent - a Rotherhithe - ma si recava spesso a Londra per motivi di lavoro e non poteva non essere colpito dalle tragiche condizioni di vita della povera gente. Per un uomo senza figli, com'era lui, lo spettacolo dei bambini che morivano ai margini della strada, uccisi o abbandonati dalle madri, doveva essere particolarmente straziante. Alcuni ospizi per gli "esposti" erano stati fondati a Parigi - dove San Vincenzo aveva già creato l'Hópital des Enfants Trouvés - a Madrid, a Lisbona e a Roma, ma in Inghilterra non ne esisteva ancora nemmeno uno. Ciò dimostra quanto fossero forti, nel XVIII secolo, i pregiudizi sulle infrazioni di carattere sessuale, contro i quali Coram dovette lottare per ben diciassette anni prima di ottenere l'autorizzazione reale alla fondazione di un istituto per l'infanzia abbandonata. A parte l'ostilità verso gli illegittimi, che è ancora oggi una piaga della società, esisteva allora - in particolare tra le signore del gran mondo - il preciso convincimento che l'esistenza di un ospizio per i trovatelli avrebbe incoraggiato i comportamenti licenziosi e la prostituzione, offrendo alle colpevoli la possibilità di evitare le conseguenze delle loro azioni. Alla fine, fortunatamente, lo spirito umanitario riuscì a trionfare, e, nel 1735, ventiquattro dame "di qualità e distinzione", seguite da cinquantadue "nobili e gentiluomini", e da molti giudici di pace e "altre persone distinte", residenti a Londra o nei dintorni, decisero di sottoscrivere varie petizioni per appoggiare la richiesta di Coram.

Nella sua istanza, Coram esprimeva con accenti commossi la sua «preoccupazione per le frequenti uccisioni di poveri neonati infelici, assassinati alla nascita dai loro crudeli genitori per nascondere la propria vergogna e per l'inumana consuetudine di esporre gli infanti nelle strade per farli morire, o di affidare gli sventurati trovatelli a barbare nutrici che si assumono l'impegno di allevarli in cambio di una piccola, trascurabile somma di denaro e spesso li lasciano morire di fame, privandoli del necessario sostentamento e di cure, oppure - se essi sopravvivono - li mettono sulla strada a mendicare o a rubare, o li mettono a servizio da gente perversa che insegna loro a comportarsi da scellerati, e quindi i furti, le rapine e gli omicidi si fanno purtroppo sempre più frequenti, e alcuni di questi bambini disgraziati vengono accecati, mutilati o resi storpi per ispirare pietà e compassione...»

Nel luglio 1737 egli presentava la sua istanza al consiglio della corona, che deliberava di accettarla. L'iter si concluse soltanto il 17 ottobre 1739, quando il Foundling Hospital (ospizio dei trovatelli) nacque finalmente come ente morale sotto la protezione del sovrano. Ma questo non era il primo gesto caritatevole di Thomas Coram, che si era impegnato a lungo in tutta una serie di progetti intesi ad offrire ai poveri la possibilità di rifarsi una vita in America. Nel 1732 era entrato a far parte del consiglio direttivo della Georgia, la colonia inglese di recente fondazione, e nel 1735 era stato tra i primi promotori del lungo processo conclusosi nel 1749 con la creazione di una nuova colonia, la Nuova Scozia. Hogarth partecipò alle vicende del Foundling Hospital fin dal 20 novembre 1738, data della seduta inaugurale del nuovo istituto, quando egli venne nominato membro del consiglio dei "Governatori e Guardiani", una carica che conservò - come vedremo - fino alla morte. L'ospizio non aveva ancora una sua sede, ma nel 1742 si cominciò a costruire sull'area prescelta - nei pressi di Great Ormond Street - un edificio che nel 1745 era finito solo per metà e non venne completato che nel 1753. Con il ritratto di Coram, quindi, Hogarth offriva solo il suo personale contributo alla futura decorazione di un immobile che ancora non esisteva. Ma, caduta ormai qualsiasi resistenza, il Foundling Hospital era diventato uno degli istituti di carità più amati dalla società elegante, e l'astuto pittore doveva aver previsto l'interesse che il suo dono avrebbe suscitato. Così, in un colpo solo, egli riusciva a giocare una carta importante a favore degli artisti inglesi e a ricordare degnamente un nobile vecchio che aveva dedicato la vita al bene dei poveri e dei diseredati.

Non si può comprendere il significato di questa grande opera, se non la si considera prima di tutto come una celebrazione dei meriti del personaggio, e non soltanto come un ricordo del suo aspetto fisico. Le dimensioni eroiche del ritratto sono quelle che venivano riservate solitamente ai regnanti o alle figure più rappresentative del paese. Il vecchio marinaio, di origini modeste e di fortuna non eccelsa, tipica figura di quella piccola borghesia dedita al commercio che fu una delle strutture portanti della Londra sette-ottocentesca, siede maestosamente su un alto piedistallo, accanto ad una fuga di colonne, sullo sfondo di una tenda verde dal ricco panneggio: tutti elementi di repertorio del classico ritratto barocco da parata. Ma la bella testa, con la candida capigliatura un po' ribelle, il tenero realismo del modellato, gli abiti di tutti i giorni descritti in modo tanto naturale, il semplice gesto della mano destra, che mostra al pubblico il sigillo reale del documento di fondazione dell'ospizio, trasformano la convenzionale solennità della posa in un'immagine di viva umanità.

Hogarth progettò ed eseguì il ritratto, firmato e datato 1740, con notevole rapidità e ne fu sempre immensamente orgoglioso. Vent'anni dopo, nelle note autobiografiche, esprimeva il suo rimpianto di non essere riuscito ad affermarsi come il più grande ritrattista del suo tempo con le seguenti osservazioni: "se davvero sono un artista mediocre..., è strano che uno dei primi ritratti da me eseguiti a grandezza naturale - quello del capitano Coram per il Foundling Hospital - sfidi ancora la concorrenza a distanza di vent'anni e sia considerato come il migliore di quel luogo, anche se i migliori pittori del regno hanno usato tutto il loro talento nel tentativo di superarlo".

I ritratti singoli di Hogarth vennero eseguiti in massima parte negli anni quaranta e cinquanta, ma l'artista non riuscì probabilmente mai a diventare un ritrattista veramente alla moda o un beniamino dell'aristocrazia. Quasi senza eccezione posarono per lui solo i suoi amici, con la rispettiva cerchia di conoscenti e familiari, o personaggi dell'alta borghesia, il che spiega forse l'immediatezza e la freschezza di queste sue opere, che non hanno l'uguale nella ritrattistica ufficiale del Settecento. La sua capacità di introspezione psicologica infonde nei volti un realismo misurato, cui egli sa aggiungere calore e simpatia. Lo si avverte in special modo nei ritratti maschili, perché alle donne l'artista riservava, com'è naturale, un trattamento più galante, senza rinunciare, tuttavia, a certi tocchi di spontaneità e di brio così spesso assenti dalle insipide immagini create dai suoi contemporanei.

In questi dipinti Hogarth si era ormai affrancato dalle forme sode e levigate delle sue prime opere, con la loro finitura così compatta ed accurata. Ora la resa aveva acquistato un più ampio respiro luministico, il plasticismo cominciava a frantumarsi nei contrasti chiaroscurali, la pennellata si era fatta più fluida e tendeva a descrivere, più che le forme vere e proprie, il loro dissolversi sotto l'effetto della luce. Questa tecnica pittorica più libera caratterizzava anche le scene di conversazione dipinte da Hogarth in questi stessi anni, come il brillantissimo 'Lord George Graham nella sua cabina' (n. 148), un dipinto così pieno di vita e di spontanea naturalezza da fare apparire del tutto superati i primi ritratti di gruppo, con le loro figurine ancora disposte in modo vagamente artificioso. L'amore sincero del pittore per il domestico e il quotidiano è ancora più evidente nei 'Bambini Graham' (n. 144), i cui atteggiamenti giocosi o timidamente solenni sono descritti con grande schiettezza ed intuito, da cui traspare come sempre una particolare tenerezza per l'infanzia.

L'aggressività di Hogarth non era che una conseguenza della forte individualità e delle capacità intellettuali e artistiche che era ben conscio di possedere. La lotta per porre prima se stesso, e poi gli altri artisti inglesi, sullo stesso piano dei concorrenti stranieri lo convinse che la storia della sua vita poteva avere un significato non solo personale, e che gli sforzi compiuti a favore dei connazionali meritavano di essere ricordati. Possediamo di lui un'autobiografia frammentaria, la prima che sia mai stata scritta da un artista anglosassone: un documento di grande interesse sotto il profilo psicologico e artistico. Le sue note, così chiare ed oneste, possiedono il calore, la forza e la sincerità che egli sapeva infondere in tutte le sue opere. Ma il dato autobiografico è un elemento onnipresente nell'opera di Hogarth: pochi pittori hanno avuto, come lui, il gusto del commento personale, trasmessoci costantemente in ognuna delle scene che si svolgono sotto i nostri occhi.

Oltre alle note, possediamo anche tutta la serie degli autoritratti - quasi un'autobiografia per immagini - ove Hogarth appare invariabilmente in veste di pittore. Il più antico, dipinto probabilmente negli anni trenta, è quello dello Yale Center for British Art (n, 139), ottimo esempio di autoritratto d'artista del genere più tradizionale, ove egli si presenta semplicemente con in mano una tavolozza e fissa il pubblico con uno sguardo penetrante. Il secondo, ora alla Tate Gallery di Londra, è firmato e datato 1745, ma venne inciso dall'artista nel 1749 (n. 81) per utilizzarlo come frontespizio dei volumi di stampe che egli stava cominciando a mettere in vendita già rilegate.

È questa un'immagine decisamente più complessa dell'autoritratto giovanile, in quanto il pittore vi dichiara il proprio debito verso tre grandi geni della letteratura: Shakespeare, Milton e Swift. Sulla tavolozza è tracciata una linea serpentina, il cui significato estetico egli avrebbe esposto otto anni dopo nell''Analisi della bellezza'. Hogarth palesa il suo orrore per ogni tipo di pomposità, l'amore per gli animali e il gusto del capriccio introducendo nel dipinto un cane accovacciato, uno di quei carlini che egli amava e di cui possedette un'intera serie. Nel nostro caso si tratta probabilmente di Trump, il secondo in ordine di tempo dei suoi prediletti amici. L'ultimo autoritratto (n. 154) venne dipinto nel 1757, in un periodo in cui l'artista si sentiva deluso e amareggiato. Anch'esso venne inciso nel marzo 1758 (n. 111) come nuovo frontespizio delle raccolte di stampe. Il pittore è seduto al cavalletto e dipinge la musa della commedia: una chiara allusione alle sue celebri storie comiche, il genere pittorico di sua esclusiva invenzione e nel quale era maestro. La commedia era una delle due forme classiche del dramma, ma la pittura di storia aveva prediletto fino ad allora soggetti più gravi ed elevati. Ma Hogarth era dell'opinione che la funzione morale di opere come 'La carriera di una prostituta', 'La carriera dei libertino' o 'Marriage à la Mode' le ponesse sullo stesso piano di altri dipinti di più solenne ispirazione, e lo autorizzasse a buon diritto a definirle quadri storici.

Nell'ottobre del 1747 Hogarth pubblicò il ciclo più apertamente moraleggiante di tutta la sua opera, intitolato 'Zelo e infingardaggine' e destinato principalmente ai giovani, cui l'artista intendeva additare le opposte conseguenze dell'operosità e dell'ozio. La lezione, oggigiorno, non può non apparirci di una durezza esagerata, ma non va dimenticato che l'artista viveva in un'epoca molto più severa della nostra, in cui la vita scapestrata poteva avere conseguenze sociali addirittura tragiche. E la crudezza dello stile grafico ben si adattava al tipo di messaggio che le stampe dovevano trasmettere. In questo caso, per la prima volta, Hogarth non produsse una serie di dipinti preliminari, ma si limitò a disegnare direttamente i soggetti da incidere: un procedimento più economico, che avrebbe consentito una ben maggiore diffusione delle stampe tra la gioventù.
Ma, dopo questo ciclo, Hogarth smise di concentrare la sua attenzione sull'individuo e passò a colpire le trasgressioni morali dell'intera società, con l'intento di guarirne i mali generali. Le sue stampe satiriche degli anni della maturità mettono in luce i danni provocati dal gin (nn. 86-87), denunciano la crudeltà verso tutte le creature di Dio (nn. 89-93 ), svelano la corruzione del sistema politico (nn. l03-l06). In queste ultime opere l'artista si rivela come quel suo fervido ammiratore ed amico che fu lo scrittore Henry Fielding - un riformatore dal cuore tenero, privo di illusioni sul genere umano, ma pronto a credere che tutti fossero in grado di emendarsi facendo appello alla ragione o ai buoni sentimenti.

Nel 1745, quando i sei dipinti del 'Marriage à la Mode' furono venduti all'asta ad un prezzo molto inferiore alle sue aspettative, Hogarth si sentì oltraggiato, e annunciò il suo ritiro staccando dalla porta di casa la tradizionale insegna di pittore. Passò i due anni successivi a scrivere la sua grande opera: 'L'analisi della bellezza', che venne pubblicata l'1 dicembre 1753. Il libro (cfr, nn. 96- l00), ancora oggi un testo obbligatorio per tutti gli studenti di storia dell'estetica, è un tentativo di definire la natura della bellezza. Hogarth vi sottolinea l'importanza del movimento, dello spazio, della superficie pittorica, ma si concentra soprattutto sulla linea serpentina che già aveva inserito nell'autoritratto del 1745 (n. 81) come "linea della bellezza e della grazia". Il concetto, non nuovo, era già stato esposto dai teorici italiani del Rinascimento, e Hogarth non fece che riprenderlo e riproporlo all'attenzione del pubblico. Il libro provocò il sarcasmo di molti artisti inglesi avversari di Hogarth, e la pessima accoglienza che alcuni riservarono alla sua opera contribuì certamente a far nascere in lui quel senso di rancore che gli avvelenò gli ultimi anni di vita. Ma, in altri ambienti, il libro ottenne invece un successo lusinghiero: venne immediatamente tradotto in tedesco e nel 1761 anche in italiano. E la cosa non sorprende, viste le grandi capacità intellettuali dell'autore, che ha saputo dar vita ad un'opera estremamente interessante e stimolante persino per il lettore odierno.

'L'elezione', il ciclo che analizza la corruzione del sistema politico, iniziato probabilmente negli ultimi mesi del 1735, segnò il ritorno di Hogarth alla pittura. E in un dipinto ancora più tardo - 'L'ultima resistenza' (Buffalo, Albright-Knox Art Gallery) - egli riprese il tema dell'onore e della seduzione nella vita domestica. L'opera venne eseguita per lord Charlemont (cfr. n. 155), forse l'unico mecenate aristocratico in grado di apprezzare veramente il talento e le aspirazioni di un artista come Hogarth. Tipico conoscitore illuminato del Settecento, impegnato a far nascere in Irlanda, suo paese d'origine, un vero amore per l'arte, Charlemont fu un abile statista con inclinazioni letterarie ed artistiche, che ebbe modo di coltivare durante i suoi frequenti viaggi in Europa nella classica tradizione del Grand Tour.

Nell'ultimo periodo della sua esistenza, Hogarth ebbe solo un altro cliente nobile, sir Richard Grosvenor, i cui gusti propendevano piuttosto per gli argomenti erotici e piccanti. Dal pittore egli si aspettava probabilmente un dipinto dal contenuto vagamente pruriginoso, sul genere dell''Ultima resistenza', ma Hogarth gli presentò invece il suo ultimo ambizioso tentativo nel campo della pittura di storia. 'Sigismonda', un soggetto tratto da una novella di Boccaccio, era il tema di un dipinto venduto all'asta nell'aprile del 1758 per una somma molto ingente. Il quadro apparteneva alla raccolta di sir Luke Schaub, uno dei principali intenditori del momento, che lo attribuiva a Correggio. Hogarth aveva molti dubbi sulla paternità dell'opera (data oggi a Francesco Furini) e l'intero affare - un dipinto mediocre di una mano mediocre, spacciato per un capolavoro di un grande maestro e venduto ad un prezzo assurdo - era il compendio di tutto ciò che l'artista aveva passato una vita intera a combattere. Egli volle quindi misurarsi con lo stesso soggetto, ma il quadro venne rifiutato da sir Richard: una cocente delusione che ferì profondamente il pittore e contribuì ad amareggiargli gli ultimi anni. Non si può dire che la sua Sigismonda sia proprio un brutto quadro, ma anch'essa è contagiata dall'inestirpabile teatralità della pittura di storia inglese del XVIII secolo, un'epoca in cui gli artisti troppo spesso si limitavano a ricreare vecchi effetti con un'enfasi eccessiva.

Hogarth continuava ad incidere stampe di soggetto satirico, ma 'La corte' (n. 153), del 1758 circa, è il suo ultimo dipinto importante di questo tema, e forse anche l'esempio più perfetto dell'ideale artistico che egli intendeva realizzare: una pittura di storia di gusto nuovo, che non attingesse più al vecchio repertorio tragico e mitologico, ma adottasse finalmente il linguaggio della commedia.

Già nel 1742, in un celebre brano della prefazione a 'Joseph Andrews', il grande romanziere Henry Fielding aveva spiegato la differenza tra comico e burlesco:
«Ma per illustrare tutto questo attraverso un'altra scienza, in cui la distinzione forse risulterà più chiara e semplice, dovremo esaminare le opere di un pittore di storie comiche e confrontarle con ciò' che gli Italiani chiamano "caricatura", scoprendo così che la vera eccellenza delle prime consiste nel copiare la natura il più esattamente possibile; in quanto un occhio esperto rifiuta istantaneamente tutto ciò che è 'outré' (eccessivo), mentre nella caricatura è ammessa ogni licenza che il pittore voglia prendersi con la nostra alma mater, poiché il vero scopo è quello di esibire mostri e non uomini; e quindi tutte le deformazioni e gli eccessi rientrano nel campo loro proprio... Chi volesse definire l'ingegnoso Hogarth un pittore burlesco gli farebbe, a mio avviso, ben poco onore; poiché è senza dubbio più agevole, ma molto meno degno di ammirazione, dipingere un uomo con un naso, o qualsiasi altro lineamento, spropositato, o presentarlo in un atteggiamento assurdo o mostruoso, che non esprimere i sentimenti umani sulla tela. Si ritiene spesso che sia un grande elogio per un pittore dire che le sue figure sembrano respirare; ma merita certamente un applauso più nobile e caloroso colui che sa dar vita a personaggi che paiono pensare».

Hogarth temeva molto di essere considerato un caricaturista, e chi apprezza davvero le sue opere non può assolutamente ammettere che gli venga affibbiata una simile definizione. La sua abilità consisteva - ed era lui stesso a dirlo - nel mettere in scena tutta una serie di caratteri ben definiti, vale a dire dotati di caratteristiche individuali molto marcate, capaci di chiarire immediatamente la personalità e la storia di ogni singola figura. In un suo appunto personale egli affermava:
«Ho sempre ritenuto che la conoscenza del carattere, dal più nobile al più meschino, fosse la parte più sublime dell'arte di dipingere o scolpire; e che la caricatura occupasse invece il gradino più basso: quello stesso dei primi incoerenti tentativi dei bambini che cercano di disegnare; ma purtroppo avviene che carattere e caricatura vengano spesso confusi per via del suono così simile delle due parole. Mi trovavo un giorno nella casa di un pittore di facce forestiero, e, mentre passavo in rassegna una legione di ritratti, Monsieur mi fece una profonda riverenza e mi disse che apprezzava enormemente le mie caricature! Restituii il 'congé' (l'inchino) e lo assicurai che anch'io ammiravo altrettanto le sue!»

Per chiarire la differenza egli ricorreva al paragone con la tragedia, la commedia e la farsa. La commedia rappresenta la natura come realmente è, poiché il dialogo e gli avvenimenti appartengono alla vita di tutti i giorni. La tragedia descrive circostanze eccezionali, e quindi usa un linguaggio aulico, che accentua la solennità dell'azione. Ma se gli attori sanno contenere la recitazione entro i limiti del decoro, senza cadere in una maestosità da burla, la tragedia è un genere elevato, non caricaturale. Solo la farsa può diventare tale quando viene forzata e spinta troppo avanti. All'incisione (nn. 107-108) tratta da 'La corte', pubblicata nel settembre del 1758, Hogarth aggiunse, su una lastra a parte, una lunga didascalia che spiegav'a "I diversi significati delle parole carattere, caricature e 'Outré, in disegno e pittura".

«Esistono poche cose così diverse come il carattere e la caricatura. Tuttavia esse vengono confuse e prese una per l'altra; il che rende necessario un tentativo di spiegazione. Si è sempre ammesso che, quando un carattere è fortemente marcato su un volto umano, esso va considerato come un'espressione della mente, che per essere tradotta correttamente in pittura richiede il massimo sforzo di un grande maestro. Ora ciò cui si è dato di recente il nome di "Caracatura (sic)" è o dovrebbe essere completamente privo di ogni segno che possa anche lontanamente assomigliare al buon disegno: lo si può definire piuttosto un insieme di segni prodotti più dal caso che dal talento; perché i primi scarabocchi di un bambino, i quali non contengono che una lontana allusione ad un volto umano, finiranno sempre per apparire somiglianti a questa o quella persona, e la somiglianza riuscirà spesso così comica che con tutta probabilità nemmeno la più eminente caricaturista dei nostri giorni sarà mai in grado di eguagliarla con il disegno, in quanto la sua idea degli oggetti è talmente più perfetta di quella dei bambini che egli non potrà fare a meno di ricorrere a qualche tipo di disegno: e gli effetti umoristici delle caricature oggi in voga dipendono soprattutto dalla sorpresa che ci causa lo scoprire una qualche analogia in oggetti che di per se stessi sono del tutto estranei l'uno all'altro.

Queste opere sono tanto più eccellenti quanto più sono inaspettate; a riprova di ciò ricordo una famosa caricatura di un certo cantante italiano, efficacissirna anche alla prima occhiata, in quanto consisteva semplicemente di una linea ret'ta sormontata da un punto. Quanto al termine francese 'Outré, si tratta di una cosa diversa da quanto abbiamo appena detto, e allude solamente a una qualche caratteristica esagerata di una figura che, per tutto il resto, potrebbe essere definita in ogni sua parte un ritratto fedele e verosimile della natura. Così, di un gigante si potrebbe dire che è un uomo normale outré. Una qualsiasi parte del corpo, come un naso o una gamba, più grande di quanto dovrebbe essere è anch'essa outré, e questo è l'unico significato di una parola usata scioccamente a scapito del termine "carattere"».

Il profondo legame che intercorre tra l'opera di Hogarth e la società in cui egli visse aumenta certamente il fascino della sua arte, ove la vita del XVIII secolo viene evocata con tanta nitidezza, ma costituisce al tempo stesso un ostacolo alla comprensione esatta del suo significato. In Inghilterra si cominciò già nel settimo decennio del Settecento a scrivere commenti alle sue opere per spiegarne le allusioni e il contesto, e si continuarono a sfornare testi esplicativi per tutta la seconda metà del secolo. Gli stranieri avevano sentito la necessità di qualche delucidazione ancora prima della morte del pittore, e nel 1746 Hogarth aveva dato l'incarico ad un amico, il pittore-miniaturista Rouquet, di scrivere in francese - la lingua internazionale di allora - alcuni chiarimenti sulle due "carriere" e il 'Marriage à la Mode', da far stampare e spedire all'estero come accompagnamento alle incisioni. Queste sono ora le fonti più preziose cui attingere per una corretta interpretazione delle intenzioni di Hogarth, e l'esistenza stessa di tutti questi testi non è che una conferma dell'interesse davvero universale per le sue opere, che non accennò a diminuire nemmeno in un periodo notoriamente pudibondo come l'Ottocento ed è forse altrettanto vivo nell'Inghilterra di oggi. Il motivo di quest'interesse così costante è decisamente insolito, in quanto Hogarth era ed è apprezzato non tanto per le sue reali qualità di pittore e disegnatore, quanto piuttosto per aver saputo condensare nelle sue scene e nei suoi personaggi una sorprendente quantità di osservazioni, acute e penetranti anche se prive di illusioni, sulla natura umana in tutte le sue diverse sfaccettature sociali. La visione della vita che si cela sotto un'apparenza tanto vivace converge implacabilmente sulla realtà dell'umana lussuria, avidità, brutalità ed egoismo, e tutti questi elementi inestirpabili sono trattati con una sapienza drammatica che spazia dal semplice gusto del ridicolo, all'ironia impietosa o alla denuncia più scoperta.

La satira di Hogarth si rifà alla tradizione classica, in quanto segue alla lettera il celebre detto di Orazio "castigat ridendo mores", ma non esita a far ricorso anche allo sdegno pungente di un Giovenale. Malgrado tutta l'amarezza della sua ironia, diversa sotto questo aspetto dal feroce sarcasmo del suo contemporaneo Swift, in Hogarth trapela sempre quella tendenza missionaria che albergava anche in tante grandi menti del XVIII secolo. Denunciando i vizi e le follie del genere umano egli intendeva prima di tutto essergli utile, adeguandosi in questo ad un altro concetto caro al suo secolo e sintetizzato nella frase "miscere utile dulci". Studiare la sua arte significa sprofondare da una prima impressione di comica vivacità nell'atroce realtà della condizione umana. Ma nei ritratti e nelle scene di conversazione egli sa trovare invece accenti teneri ed affettuosi, indizio di una sensibilità che spiega molto bene il suo disgusto per gli aspetti peggiori della società. Sotto questo punto di vista, la pittura di Hogarth non è che l'esatto equivalente visivo delle opere letterarie del suo contemporaneo Henry Fielding.

Il genio narrativo e satirico di Hogarth ha fatto inevitabilmente passare in second'ordine il suo naturale talento di pittore. Di lui non si può dire che sia stato un disegnatore veramente eccelso, anche se i suoi fogli possiedono senza dubbio una certa immediatezza. Aveva, come i suoi colleghi, l'abitudine di annotare con la penna o la matita le figure e i motivi che colpivano la sua fantasia, ma è chiaro che egli fu sempre essenzialmente uno di quegli artisti che concepiscono il disegno come una fase preparatoria di un'opera più finita, che, nel suo caso, era normalmente un'incisione. Sono invece rarissimi gli esempi di studi preliminari per le sue opere pittoriche.

Nella maggior parte dei casi Hogarth incideva da solo le sue stampe, ma di tanto in tanto ne affidava l'esecuzione ad altri. Graficamente le sue incisioni possono dirsi di buona qualità, in quanto sanno rendere gli effetti richiesti, ma Hogarth fu sempre ben conscio di non possedere quell'eccellenza tecnica che si raggiunge solo con un'adeguata preparazione. Sapeva anche di essere privo, per temperamento, della pazienza necessaria ad ottenere risultati grafici veramente superlativi. L'ammissione è interessante anche perché lascia intendere che il suo fare istintivo lo indirizzava naturalmente verso la tecnica pittorica, più immediata e assai meno laboriosa. I suoi primi dipinti risentono dello stile preciso e levigato in voga negli anni venti e trenta, ma sono in un certo senso ancora acerbi.
Fu solo intorno al 1732, l'epoca di alcuni suoi capolavori come 'L'imperatore delle Indie' - un dipinto di collezione privata purtroppo assente dalla mostra - che Hogarth divenne veramente padrone della sua arte. Ciò corrispondeva forse a una precisa scelta, documentata dalle parole di un'amica, l'incantevole e colta Mrs. Delany, che scrisse nell'estate del 1731: "Ha cambiato maniera, ora il suo stile è molto più finito". Ci è pervenuto un certo numero di dipinti di Hogarth mai portati a termine, tra cui la celebre 'Ragazza dei gamberetti' della National Gallery di Londra.

Queste opere dimostrano come la relativa compattezza del modellato nelle tele finite non sia che il risultato della sovrapposizione di zone di colore, dove la pennellata è invece estremamente libera, fluida e larga. A partire dalla seconda metà del quarto decennio, Hogarth era ormai in grado di dipingere con completa sicurezza, ma, non facendo quasi uso di studi preparatori, nei suoi quadri si notano numerosi pentimenti. Come abbiamo già accennato, questa nuova fiducia nella propria abilità era destinata, a sfociare, nei primi anni quaranta, in una resa formale pittoricamente assai più audace, che risente a suo modo del gusto rococò. Il pennello di Hogarth dà ora vita a brani che sono autentici pezzi di bravura e contribuiscono notevolmente all'animazione della superficie pittorica. In questo caso, più che all'arte francese contemporanea, egli deve essersi ispirato alla pittura italiana del momento; mentre la voluta vivacità dei suoi ritratti va forse vista come un riflesso, sobrio e misurato, di quell'eccessiva animazione che egli imputava alla ritrattistica francese. Nel colore, malgrado il rispetto formale degli artisti inglesi per la dottrina del chiaroscuro, Hogarth seguiva l'istinto dei suoi tempi e prediligeva una gamma chiara e luminosa; le scene più cupe della 'Carriera dei libertino' e di 'Marriage à la Mode', tuttavia, rivelano una completa padronanza della tecnica luministica, con effetti di luce e d'ombra molto drammatici ed espressivi. Anche le sue figure più chiare e splendenti sono spesso segnate da qualche tocco scuro, come i piccoli nei finti, che insinuano anche nel volto più radioso il sospetto del contagio venereo. L'estrema fluidità del modellato continuò a caratterizzare le sue opere fino alla fine degli anni cinquanta.

Di Hogarth si può dire che la sua intera esistenza venne contrassegnata dall'impegno di garantire dignità e indipendenza alla figura dell'artista, in una società sostanzialmente indifferente agli aspetti più fantasiosi e creativi dell'arte. Il suo vero trionfo fu quello di riuscire a fare apprezzare il suo mestiere almeno come veicolo di satira sociale, poiché Hogarth - come egli stesso disse un giorno alla giovane Hester Salusbury, che gli faceva da modella per l''Ultima resistenza' - era prima di tutto un moralista. Oggi questa parola è quasi l'equivalente di seccatore, ma nel Settecento - come già in epoca rinascimentale e barocca - il ruolo del moralista, in quanto riformatore dell'umanità, era la prerogativa più nobile di chi operava nel mondo dell'arte.

È noto che nei suoi ultimi anni di vita Hogarth venne colto da un forte senso di frustrazione, ma ciò non gli impedì di continuare a battersi per procurare migliori occasioni di lavoro ai suoi colleghi inglesi, e per estirpare i pregiudizi degli esperti d'arte, suoi eterni nemici. Intorno al 1760-1761 cominciò a preparare la sua 'Apology for Painters', lo scritto che doveva spiegare e giustificare i risultati e le aspirazioni di tutta la sua vita. Vi traspare un animo deluso e amareggiato da tutto ciò che il pittore interpretava come un mancato riconoscimento dei suoi meriti. Smise completamente di dipingere, ma continuò a dedicare le sue energie all'attività grafica. Rielaborò un certo numero delle sue vecchie lastre e decise di dare un'ultima stoccata ai suoi nemici con il finalino pubblicato nel 1761 (nn. 123-124) e intitolato 'Il bathos, ovvero l'arte di immergersi nella pittura sublime, dedicata ai mercanti di tele scure'. Come nella 'Dunciad' di Pope, dove la stupidità finisce per riprendere il suo dominio sul mondo, malgrado gli sforzi del poeta, così nella tavola conclusiva dei volumi delle opere di Hogarth il tempo muore e tutte le cose ripiombano nel caos. In ambedue i casi ci troviamo davanti ad un simbolo, tragico ed umoristico insieme, della disperazione di due grandi geni della satira, impotenti dinnanzi alla mediocrità dei loro rispettivi nemici e detrattori.

Il genio di Hogarth venne comunque riconosciuto dai migliori tra i suoi contemporanei. David Garrick, il grandissimo attore che egli aveva ritratto sia in privato, sia nelle vesti di Riccardo III, e che possedeva alcuni dei suoi quadri più importanti, scrisse l'epitaffio per la tomba nel cimitero di St. Nicholas, a Chiswick, dove il grande artista venne sepolto una settimana dopo la sua morte, avvenuta nella notte del 25/26 ottobre 1764:

"Addio grande pittore del genere umano....".


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